“1861 – Storie di Briganti” Una produzione del Teatro Stabile d’Abruzzo con Alessandra Tarquini, Michele Di Conzo, Marco Valeri
Regia e drammaturgia di Eugenio Incarnati
I burattini sono opera di Marcello Salvatore.
Realizzato con il contributo scenografico e agli oggetti di scena di Tiziana Terchi Nocentini
“Signore e signori: dopo quasi 160 anni, possiamo guardare alla nostra storia per capirla, non per impararla a memoria.
E io capisco meglio se mi faccio pure una risata, e se ci sono musiche, canzoni, e pantomime divertenti.
Avrete sentito parlare di un fatto nuovo che capita di questi tempi. Un fatto nuovo e terribile e pericoloso: ci stanno i briganti!I briganti stanno dappertutto, come fra poco andremo a dimostrare. Voi siete preparati?”.
Così comincia uno spettacolo che, partendo dalla storia, dalla nostra storia (quella con la “S maiuscola”, la storia dell’Unità d’Italia), arriva a parlare di vicende piccole, piccolissime e minuscole, per capire, fino in fondo, un fenomeno che parla di noi più di quanto siamo abituati a pensare.
I briganti: semplici delinquenti, o eroi?
Dobbiamo avere il coraggio di andare fino in fondo…, fin dove si capisce che il nostro popolo che, alla continua ricerca di eroi – forse per paura di proprie responsabilità – spesso trova solo vittime e carnefici… Musica!
“I861” è uno spettacolo che sfata molti miti riguardanti il fenomeno del brigantaggio all’indomani dell’unità d’Italia. A dispetto dell’argomento impegnativo, è adatto a tutti, grandi e piccoli e, attraverso le vicende storiche, parla di noi tutti e delle nostre radici.
“Confrontandoci spessissimo anche con il mondo della scuola, siamo soliti affrontare spesso temi densi e complicati con l’obiettivo di renderli accessibili a chiunque. Cerchiamo escamotage visivi, giullareschi, da cantastorie e, sfruttando suoni, rumori, musiche di scena dal riconoscibile sapore popolaresco, abbiamo il primo obiettivo di “accogliere”: nel nostro teatro ognuno deve sentirsi “a casa propria”, per rilassarsi e permetterci di raccontare “in confidenza”.
Si parla, in “1861”, di molte vicende brigantesche e di diverse famigerati personaggi, fra cui Carmine Crocco, Luigi Alonzo (“Chiavone”), Michele Caruso e di tanti altri briganti e brigantelli che, si scopre, portano, talvolta, persino il nostro stesso nome…!
In “1861” si racconta, inoltre, di Luis Borgès: figura emblematica, appassionato generale Catalano, fu uno dei pochi a credere, fino in fondo, alla causa della restaurazione Borbonica. Sbarcato in Calabria con il suo fido plotone, convinto di trovare sostegno, appoggio ed eserciti al suo comando, fu presto deluso dalla realtà e, stremato dalle fatiche, si rese protagonista di una vicenda profondamente toccante e romantica, quasi una favola, che ebbe il suo tragico epilogo proprio dalle nostre parti, a Tagliacozzo, in uno di quei non rari giorni in cui, in terra d’Italia, eroi e carnefici si confusero indistinguibilmente.
“Se per noi, parlare di quei fatti, può servire a capire meglio chi siamo, per alcuni appare, tutt’ora, provocatorio; nelle nostre ricerche abbiamo imparato che, pur a distanza di un secolo e mezzo, esiste, tutt’ora, una schiera di scrittori ed intellettuali meridionalisti che guardano, alla storia di quei giorni in un’ottica nostalgica e, (nel 2020!) filo-borbonica.
Senza svelare i contenuti dello spettacolo, possiamo dire che, parlare di Borges equivale a parlare di un personaggio simbolico, che si immolò non per un ideale, ma per una menzogna e che non ci poteva essere che scarsa gloria e poca sostanza in quelle brigate di popolani (nonché fuoriusciti e disertori) che, inizialmente, sembrarono voler condividere (e sarebbe stato ben strano) la causa di quel ceto nobiliare decaduto e di quel re destituito che li aveva sempre sfruttati”.
Il brigantaggio, fenomeno molto complesso che nei secoli assunse diverse facce (dalla reazione alla fame ed alle ingiustizie fino al banditismo comune), dal 1861, si colorò, in effetti, dei toni di una rivolta di natura politica al nascente stato d’Italia ed alla “piemontesizzazione”. Ma in “1861 Storie di Briganti”, proprio per rispetto alle tragedie e alla miseria degli sfruttati, si racconta anche altro: si racconta, ad esempio, che dei nobili, fuggiti senza gloria nel sicuro rifugio dello stato pontificio, ebbero, per un certo tempo, un buon gioco nel propinare la fandonia della “guerra di popolo contro gli invasori”, e cercarono di fomentare, non senza vittime, proprio quelle folle verso cui nutrivano profondo disprezzo, in un maldestro tentativo di restaurazione che non poteva che essere obiettivo esclusivo della loro stessa classe privilegiata. Ed anche lo svuotamento, le espropriazioni, l’impoverimento del meridione, generato, secondo alcuni, dalla nascita del nuovo regno d’Italia, può essere letta anche come conseguenza della corruzione, della inazione, dell’individualismo sfrenato e della incapacità del meridione di esprimere, democraticamente, rappresentanti degni.
“Ci possono essere molte “scuse” (o ragioni storiche) ma, se questa è la realtà, bisogna guardarla fino in fondo, fin dove si capisce se, per caso, il nostro popolo, alla continua ricerca di eroi – forse per paura di proprie responsabilità – non trovi solo vittime e carnefici…”.